giovedì 21 febbraio 2008

Missioni di pace

Oggi il governo cadente ha rifinanziato la "missione di pace" in Afghanistan" (leggi qui), un piccolo impegno economico votato da 340 deputati di tutto l'arco costituzionale, e solo 50 voti contrari. Ovviamente soddisfato il nostro minestrone degli esteri Max D'Alema che ha dichiarato: “Sono lieto che la Camera abbia approvato il decreto che finanzia i nostri militari impegnati in missione di pace nel mondo”. Giusto! E allora parliamo di questa missione di pace. Riprendo un passaggio dell'interessante articolo che ho letto su Peace Reporter.
Specialmente dopo l'11 settembre, le operazioni militari in Iraq e in Afghanistan hanno visto un approccio comunicativo molto problematico da parte dei nostri vertici militari e dei nostri governi. Il primo esempio di 'sordina' sulle operazioni italiane è relativo alla partecipazione all'operazione Nibbio di Enduring Freedom, a Khost, al confine col Pakistan, nel 2003. Per la stampa fu impossibile seguire il nostro contingente, ai giornalisti non fu consentito essere 'embedded'. Un approccio riconfermatosi in Iraq: quando la missione, dopo l'attentato di Nassiryia, si trasformò da intervento di pace, a basso rischio, in una ad alto rischio, ci furono chiusure importanti verso i media. Per un lungo periodo fu impossibile raggiungere Nassiryia per seguire le attività del nostro contingente. Anche nel periodo successivo, i giornalisti che raggiunsero la città vennero chiusi dentro la base, senza poter muoversi e raccogliere informazioni. Enduring Freedom era ed è un'operazione di guerra. Se col governo Berlusconi ci furono chiusure, col governo Prodi la chiusura è totale. Non c'è nessuna possibilità di seguire le operazioni in Afghanistan, per esempio. Da quanto tempo non vediamo un reportage sul nostro contingente a Herat? Almeno un anno e mezzo. A queste difficoltà si aggiunge l'evidente tentativo della Difesa di non far filtrare informazioni sul campo di battaglia dell'Afghanistan occidentale, specie sugli assetti più aggressivi del nostro contingente, e mi riferisco alle forze speciali, agli elicotteri Mangusta e via dicendo. Si tratta di un muro di silenzio totale, determinato anche dal clima politico e dalla composizione di questa maggioranza di governo....
Nei più importanti teatri bellici l'Italia ha spesso schierato truppe e mezzi insufficienti, che hanno lasciato i contingenti più esposti alle offensive di milizie e terroristi. In altri casi sono state messe in campo forze potenti, ma non autorizzate a combattere. Scelte dettate dall'esigenza di essere al fianco dei nostri alleati anglo-americani pur senza correre i rischi politici derivanti da un reale ruolo bellico. Ambiguità che hanno esposto l'Italia a brutte figure con gli alleati senza riuscire a risparmiarci i lutti e le conseguenze dei conflitti. Due governi, di diverso colore politico, hanno cercato di coprire la realtà dei combattimenti
utilizzando la retorica delle "missioni di pace" e delle "operazioni umanitarie" complice anche una censura mediatica senza precedenti in una democrazia occidentale. Anche per questa ragione le vittime militari di attentati terroristici hanno avuto grande visibilità, mentre i soldati distintisi in combattimento e decorati per eroismo sono rimasti sconosciuti.

( brandello dell'intervista di PeaceReporter ad Gianandrea Gaiani, esperto militare, autore del libro "Iraq-Afghanistan. Guerre di pace italiane")

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