Bellissimo articolo di Raffaele Palumbo sul Corriere Fiorentino di oggi sul film La fine è il mio inizio, in corso di costruzione ad Orsigna. Le parole giusto, il tono intimo, l'affetto per Tiziano Terzani, il silenzio rotto solo dal rumore delle castagne che cascano a terra. Bello. Lo riporto quasi integralmente, mentre l'originale lo puoi leggere qui.
Cinquanta persone lavorano, corrono da una parte all’altra della scena, costumisti, truccatori, fonici, cameraman, e poi gli sceneggiatori, il produttore, il regista. E naturalmente gli attori, concentratissimi e dediti alla loro parte. Eppure, l’unico rumore che si sente è il cadere delle castagne dagli alberi. Le strade, nei dintorni dell’Orsigna (appennino pistoiese) sono un tappeto di ricci di castagne schiacciati dalle auto. Tante auto, una fila lungo il ciglio della strada che da Pracchia porta su. Sono cercatori di funghi, il momento è perfetto e questa natura generosissima. Mario, il marito della Brunalba, ne ha trovati trenta chili. All’Orsigna si gira La fine è il mio inizio, il film tratto dal libro omonimo e postumo che Folco Terzani ha messo insieme dopo aver interrogato per tre mesi — i tre mesi prima della sua morte — il padre.
«Parlando del film con il produttore e con tutti quanti sono stati coinvolti nella fase preliminare — racconta Folco — a tutti è venuto subito in mente in nome di Ganz, come se fosse l’unico a poter interpretare un film del genere». Già, un film del genere. Il produttore e con Folco co-sceneggiatore, ci scherza: «Abbiamo messo da parte le tradizionali regole della drammaturgia. In questo film non c’è conflitto, non accadono cose particolari, non ci sono colpi di scena nè punti di rottura. È il dialogo tra un figlio e un padre, mentre quest’ultimo sta morendo. Un dialogo sulla vita e sull’imparare a morire e ad accettare la morte stessa, il grande tabù del nostro mondo». Folco Terzani, che ha alle spalle studi ed esperienze cinematografiche fatte negli Stati Uniti dice: «C’è una bellezza del grande cinema, dei kolossal, del montaggio veloce e dei dialoghi brevi. E poi c’è un’altra bellezza, più profonda ed intensa, che arriva dalle cose intime, da un incontro con un vecchio in una capanna di notte che ti racconta cose inimmaginabili ». Accenna alle Upanishad, le sacre scritture induiste composte proprio da dialoghi, due persone sotto un albero. In Sanscrito, upa (vicino), ni (sotto) e shad, (sedersi), ossia «sedersi vicino ».
Con Bruno Ganz, letteralmente nei panni di Tiziano Terzani, seduto vicino c’è l’italiano Elio Germano che interpreta il figlio, l’attrice austriaca Erika Pluhar, la moglie Angela e Andrea Osvart, la figlia Saskia. Il contadino orsignese Mario, quello dei funghi, è interpretato da Gianni Cavina. Tutto, le scene e gli altri personaggi, ruotano attorno al padre e al figlio, con una sceneggiatura essenziale e insieme con uno sforzo ed un impianto produttivo di grande livello. Il set, all’Orsigna, è proprio al podere Il Contadino, casa Terzani, dove, nonostante tutto, continua a regnare il silenzio, in un’atmosfera serena e rilassata. Si gira una scena importante, dopo l’acquazzone che ha pulito il cielo. La luce è abbagliante e il regista decide di iniziare molto presto. Si tratta di mettere mano ad una scena lunga ben dodici minuti, un punto nodale del dialogo. L’attenzione e la concentrazione sono ai massimi livelli e l’arrivo in giardino di Bruno Ganz lo sottolinea. Ci chiedono non solo di non rivolgergli la parola per nessun motivo, ma soprattutto di non guardarlo, di non incrociare mai il suo sguardo. «È alcuni mesi che vive in uno stato di concentrazione totale — racconta Folco Terzani — non può essere distratto da niente e da nessuno». Sembra una precauzione eccessiva, un po’ da star, fino a quando il fonico ci porge le cuffie e Ganz inizia a recitare. È vestito di bianco, la barba bianca che sembra Terzani senza fargli il verso, ha il respiro di un uomo che sta morendo e insieme una potenza espressiva da togliere il fiato. Va avanti tutta la mattina, ripetendo e ripetendo senza mai stancarsi le stesse battute. La mattina vola, ed ogni ripresa è un atto meticoloso con alle spalle una lunga preparazione. Per una scena sono state portate delle cornacchie dalla Repubblica Ceca. Anche le lucertole sono state importate. «Il regista — racconta Limmer — temeva che con l’approssimarsi del freddo non le avremmo trovate».
Dall’interno della casa si sente spesso il frinire di un grillo. Servirà per un’altra scena, per ora se ne sta chiuso in gabbia, dopo il viaggio che ha fatto per arrivare dalla Germania. Il pranzo si svolge in comune, in una grande casa affittata dai vicini alla produzione. Roastbeef, sformato di patate, caffè, acqua, niente alcool. Ganz mangia con gli altri, ma non rivolge la parola a nessuno. Tutti si comportano come se non esistesse. L’unico suo disturbo arriva quando il silenzio, durante le riprese, viene rotto dal passaggio di una automobile. Il fonico scuote la testa, tutto si ferma per un minuto, poi le riprese ricominciano, non senza momenti di forte commozione. Come si commuove il produttore al racconto dell’ultima scena. «Quando la moglie Angela mi ha chiesto come avremmo risolto la questione le ho risposto che il libro si ferma un giorno prima della morte di Terzani. Allora — mi ha risposto — ti racconto io l’ultimo giorno ». Le riprese si fermano al tramonto, niente luci artificiali. Insieme ad una notevole quantità di materiali tecnologici, sui Tir dalla Germania arriva anche la birra. È per la sera, quando si accende un enorme barbecue e si smette di muoversi silenziosi e di bisbigliare e tutto intorno torna ad essere buio e poi silenzio.
Raffaele Palumbo
Nessun commento:
Posta un commento