mercoledì 4 novembre 2009

L'arte si veste sempre elegante per cena

Conoscete una tale Jeanette Winterson?
Mi sono incuriosito leggendo questa sua frase:

"L'arte si veste sempre elegante per cena.
Vi sembra un atteggiamento troppo convenzionale nell'era della cultura popolare, con i suoi jeans e le sue T-shirt? Forse, ma senza uno spazio formale l'arte non può fare il suo lavoro. Per essere esatti, bisogna eliminare il disordine per arrivare a ciò che è essenziale. L'informalità favorisce il disordine e l'informalità è diventata un eufemismo di disorganizzazione. La gente disorganizzata vive e lavora nel disordine e crea disordine agli altri. Contrariamente allo stereotipo del bohémien, il vero artista è molto organizzato e deve continuamente selezionare e riorganizzare il proprio materiale, scegliendo solo ciò che può essere plasmato per raggiungere un risultato finale. Questa precisione può essere sconfortante per chiunque creda che la parola "rilassato" abbia un valore umano più alto della parola "Disciplinato". "
(Jeanette Winterson, "L'arte dissente. Scritti sull'estasi e la sfrontatezza", 1995)

Ma chi è Janette Winterson? Ecco cosa riporta il sito "Rivista on line" riguardo al libro "L'arte dissente", edito da Mondadori nel 2006.
Il libro ci prende da subito con un impeto, mentre seguiamo Winterson in un Natale di molti anni fa, in una nevosa Amsterdam: lei, digiuna d'arte, dentro una piccola galleria si innamora di un quadro di cui non riuscirà più a fare a meno. È questo il punto di partenza per riflettere su un'epoca, quella attuale, che la scrittrice ritiene perlopiù popolata da individui che hanno abbandonato l'idea di dover faticare sopra un libro e che al contrario pretendono che esso sia veicolo di intrattenimento. Così come li ha abituati la tivù a cui hanno appaltato il monopolio del tempo libero. Winterson ribalta luoghi comuni come il fastidio per l'arroganza dell'artista. Dovremmo invece, dice, fermarci ad analizzare l'arroganza del pubblico "che non ha fatto nulla, che non si è assunto alcun rischio, la cui vita e la cui sussistenza non dipendono, in ogni singolo momento, da ciò che sta facendo". Sono pagine acute quelle in cui l'autrice riflette sul dispotismo del gusto senza impegno, del "non mi piace" sbandierato credendo che basti, senza che sia accompagnato da una domanda sulla propria inadeguatezza perché potremmo avere ragione a condannare un tal artista ma è anche vero che la consueta risposta "Questo dipinto non ha nulla da dirmi" potrebbe diventare "Non ho nulla da dire a questo dipinto". Cioè, non sono in grado di capirlo. Ribaltando il punto di vista, che era anche il suo, Winterson ha cercato di imparare come si guarda un'opera d'arte, lei che è convinta di sapere "molto, molto meno di quadri di quanto sappia di libri, e la cosa non cambierà in futuro". Winterson non dimentica di essere soprattutto una scrittrice e per questo ci porta, leggera, nel mondo delle parole di Virginia Woolf, la cui opera, come qualunque altra d'artista, merita di essere frequentata perché "apre il cuore", è rifugio, perché "si oppone alla morte quotidiana". Detto in due parole, leggere L'arte dissente è un delizioso piacere.

Mi piace, mi sa che me lo compro!

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