Condivido totalmente questo interessante articolo di Umberto Mazzantini letto sul sito Greenreport.it.
Ieri la Commissione europea ha annunciato che «In seguito a una richiesta presentata dalle autorità spagnole il 28 luglio 2011, la Commissione ha approvato la richiesta della Spagna di limitare l'accesso al suo mercato del lavoro ai lavoratori romeni fino al 31 dicembre 2012 a causa delle gravi turbolenze che si registrano attualmente sul suo mercato del lavoro. La Spagna è stata colpita molto duramente dalla crisi. Una contrazione senza precedenti del PIL (-3,9% tra il 2008 e il 2010) si è tradotta nel tasso di disoccupazione più elevato dell'UE, pari a più del 21% a partire dal maggio 2010. Il continuo aumento di residenti romeni in Spagna e il loro elevato livello di disoccupazione si sono ripercossi sulla capacità della Spagna di assorbire nuovi afflussi di lavoratori». 191.400 dei romeni che vivono in Spagna, cioè il 30%, sarebbero disoccupati.
Quel che non dice l'Ue è che questa misura straordinaria di sospendere la piena libertà di circolazione dei cittadini di un Paese dell'Ue (l'aveva già chiesta per primo, per motivi di ordine pubblico, il buonista Walter Veltroni in Italia) è il frutto del collasso dell'economia della rendita e del cemento che aveva fatto gridare al miracolo economico spagnolo ed attratto, a questo punto come una carta moschicida, i lavoratori rumeni e bulgari a costruire i mega-alberghi ed i villaggi turistici che hanno ricoperto di cemento le coste spagnole.
La chiusura delle frontiere per crisi e disoccupazione è il frutto avvelenato del governo Zapatero, progressista per quanto riguarda i diritti civili ma continuatore ed incrementatore delle politiche cementificatrici del precedente governo del Partito popolare.
Il crack odierno è il risultato di un'economia drogata dalla rendita che ha puntato sulle grandi infrastrutture e la speculazione edilizia, che ha consegnato, quest'ultima, l'economia spagnola nelle rapaci mani dei fondi di investimento e pensione stranieri, dei palazzinari iberici ben incistati nel potere politico, nella convinzione/miraggio che il cemento avrebbe trainato la crescita del Paese all'infinito. Che avrebbe creato posti di lavoro diretti e poi indiretti nel turismo e nei porti turistici e nella manutenzione delle mostruosità architettoniche che hanno devastato la Spagna, attirando un turismo di massa e di sempre più bassa qualità che ora si ritira con la risacca della crisi, lasciando vuoti, o addirittura mai abitati, gli ecomostri legali della deregulation urbanistica e ambientale spagnola.
E' la stessa ricetta che si propone in Italia per rilanciare l'ipertrofica edilizia, mentre le case restano invendute, gli appartamenti sfitti perché troppo cari, il turismo in crisi e l'economia sprofonda. La cosa terribile è che il boom edilizio ispano-italiano ha consentito, con le rimesse dei muratori rumeni, un analogo boom delle costruzioni anche in Romania, drogando anche quel mercato, dove il fallout della cementificazione potrebbe essere socialmente ancora più devastante.
In Spagna come in Italia le promesse di nuovi posti di lavoro in cambio della cementificazione delle coste si sono rivelate promesse da marinaio. In Spagna la disoccupazione, innescata dal crollo del comparto edilizio, è sprofondata al 20%: si aspettava sviluppo e si devono cacciare i protagonisti malpagati di quell'effimero boom, ai giovani spagnoli (e italiani) non resta altro che guardare i loro Paesi sfigurati dalla rendita e scendere indignati in piazza per reclamare un futuro seppellito in un sarcofago di cemento armato.
Ai governi non resta altro che dichiarare guerra ai poveri stranieri nel tentativo di placare la rabbia dei propri poveri. Il ciclo del cemento ha distrutto il welfare latino che si è dimenticato che produrre vuol dire avere una politica industriale, non puntare su un bene rifugio, il mattone, che alla fine si è rivelato, dagli Usa alla vecchia Europa, dalla Cina preoccupatissima per la bolla edilizia alla Spagna dove è già scoppiata, la miccia della rendita accesa dalle banche e dai fondi di investimento. Questo ha dato a sua volta fuoco alla sequenza di crisi economiche che stanno soffocando l'Occidente in un continuo gioco di emersione-immersione che è il segno di un sistema esausto che non sa come prendere fiato, ogni volta ricacciato sotto dalla "mano invisibile del mercato" che ha legato al piede della Spagna e delle altre economie avanzate un blocco di cemento, ben legato dalla speculazione finanziaria, dalla rendita e dalle banche.
Si è svenduto il capitale per avere in cambio disoccupazione e crisi.
Per ora sono affogati i lavoratori/disoccupati rumeni, ma la crisi del modello edilizio, dalle finestre chiuse delle nostre coste e periferie sfigurate, guarda in faccia, anche l'economia dell'Italia, che tanto ha dato in termini di ambiente e bellezza al cemento, per riceverne in cambio una crisi occupazionale che è anche di prospettiva.
Non a caso László Andor, il commissario Ue per l'occupazione, gli affari sociali e l'inclusione, dopo aver parlato di «Congiuntura particolare, caratterizzata da una situazione occupazionale drammatica e da un contesto finanziario estremamente difficile», che avrebbero costretto la Spagna a sospendere la piena libertà di circolazione, dice: «Continuo ad incoraggiare la Spagna a riformare il suo mercato del lavoro e a migliorare le opportunità occupazionali per i giovani come anche sollecito che si faccia di più per aumentare le opportunità di lavoro in Romania. Entrambi i Paesi devono usare meglio i fondi strutturali dell'Ue per dare maggiore vigore alla creazione di posti di lavoro. È questa la strategia da seguire per imprimere una svolta decisiva nel lungo termine alla situazione occupazionale».
Non sembra che la rendita del mattone possa far parte di questa strategia.
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